
Ruggiero Sfregola, dal violino all’anima: un viaggio
Ruggiero Sfregola
Il Service Learning rappresenta un modello educativo che unisce teoria e pratica, creando una connessione profonda tra l'apprendimento accademico e il servizio alla comunità. Al Campus Bio-Medico di Roma, questo approccio va oltre la semplice acquisizione di competenze tecniche, promuovendo la crescita personale degli studenti attraverso l'impegno sociale. Non si tratta di un volontariato tradizionale, ma di un percorso che forma professionisti consapevoli della loro responsabilità sociale. Gli studenti sono chiamati ad affrontare le sfide reali, come quelle di comunità vulnerabili, affinando sia le capacità tecniche che le qualità umane, come l'empatia e la resilienza. Le esperienze internazionali e le iniziative locali, come i tirocini e i progetti di sensibilizzazione, offrono occasioni di apprendimento unico, integrando la conoscenza teorica con un impegno concreto verso il benessere della società.
Un’università che forma persone, non solo professionisti
La scienza per l’uomo. È più di un motto, è una promessa, e al Campus Bio-Medico di Roma questa visione è il cuore pulsante di ogni percorso formativo. Qui la conoscenza non è il fine ultimo, ma un mezzo per mettersi a servizio degli altri. Perché essere un bravo medico, un ottimo ingegnere o un eccellente nutrizionista non significa solo padroneggiare nozioni e tecniche (fondamentali, ovviamente), ma anche e soprattutto saper ascoltare, comprendere, agire, empatizzare. Insomma, essere umani.
Il Service learning incarna questa filosofia: un approccio innovativo alla didattica che mescola apprendimento e servizio, teoria e pratica, scienza e umanità. Immaginate un futuro professionista che non ha mai toccato con mano la sofferenza di un paziente o la fragilità di chi affronta una malattia lontano da casa. Oppure un giovane ingegnere che non ha mai dovuto adattarsi a condizioni di lavoro precarie, in comunità lontane migliaia di chilometri che hanno risorse limitate ma bisogno d’aiuto e competenze infiniti. Sarebbe pronto ad affrontare le sfide del mondo reale? Il Service learning risponde a questa domanda: non solo forma professionalità, ma persone capaci di leggere le sfumature dell’esistenza e di farsi carico della realtà con responsabilità e dedizione.
Non è un semplice volontariato, e non è neppure un’esperienza pratica solo per mettere le mani in pasta: è un percorso, un insieme che raccoglie umanità e mestiere e ne fa qualcosa di più complesso e omogeneo. È una palestra di resilienza, un laboratorio in cui si mettono alla prova competenze e creatività, un viaggio interiore che cambia il modo di vedere la professione e la vita stessa.
Che cos’è il Service learning
Se non è volontariato e non è neppure semplicemente un modo per mettere in pratica competenze teoriche, che cos’è il Service learning? Si potrebbe riassumere – e semplificare – dicendo che è un modo di imparare rendendosi conto dei problemi reali presenti in molti contesti anche a noi vicini e dell’impatto sociale che il nostro agire professionale può avere. È sicuramente un aiuto a crescere affrontando la realtà. Il Service learning abbraccia tutte le discipline e se ne fa qualcosa di più umano, o meglio, di più vicino all’umano. Come la studentessa Benedetta Di Curzio ha imparato nel suo percorso in Nutrizione, per esempio, che «non è solo scienza, ma un dialogo che coinvolge cuore e mente». Ecco, questo è il punto: non si tratta di applicare conoscenze, ma di connettersi e dialogare con le persone e le loro storie.
Si combinano, infatti, servizio alla comunità e apprendimento accademico. È una strategia educativa che si distingue dalle altre pratiche didattiche perché integra il mettersi a servizio di persone o comunità come parte fondamentale del percorso formativo e fa diventare realmente lo studente il protagonista della propria formazione. Gli studenti non solo imparano nuove competenze, ma le applicano nel concreto per risolvere problemi sociali e comunitari, creando una connessione più profonda tra ciò che è appreso in aula e il mondo che la circonda.
Perché il Service learning fa la differenza?
«Partiti con l’intento di donare, torniamo a casa arricchiti». Basterebbero queste parole della studentessa Georgia Colleluori a riassumere una possibile risposta. Non si tratta solo di accademia, ma di crescita, di nuovi orizzonti: si torna a casa con un nuovo punto di vista su ciò che si vuole fare e che si vuole essere in relazione al proprio lavoro. Attraverso il Service learning, il Campus Bio-Medico non solo forma ottimi professionisti, ma spinge nel mondo persone capaci e desiderose di mettersi in gioco per il bene degli altri. Che è quel che conta di più.
In un mondo sempre più complesso e interconnesso, dove i confini tra reale e virtuale sono sempre più labili, incontrare l’umano e il bisogno vero non è semplice. Eppure, con il Service learning si va a scavare lì, laddove esistono persone che chiedono aiuto – o non hanno il coraggio di farlo – e si fa del bene, con competenza e umanità. Imparare l’umano. Questo è il grande scopo del Service learning.
Il Service learning al Campus Bio-Medico
Al Campus Bio-Medico di Roma, il Service learning è un percorso educativo in cui si investe e si crede, perché non c’è luogo migliore e più adatto per imparare a mettersi a servizio. A partire dalla conformazione architettonica fino a quella umana, l’ucbm nasce e vive come una comunità in cui alle esigenze si trovano risposte comunitarie e collaborative: gli spazi sono costruiti per stare insieme e dialogare, le persone sono spinte a farlo costruendo e percorrendo ponti. Ma il Service learning, oltre che uno stimolo spontaneo, è parte della didattica, e le esperienze di servizio puntano a mostrare il mondo reale, dove intercettare e lavorare su un bisogno, che è, ad un tempo, complesso e segnante.
Work Camp nei Paesi in via di sviluppo
Dal 2006, gli studenti partono per il Perù, il Madagascar, la Tanzania e il Kenya per collaborare con realtà locali e dare una mano dov’è necessario. «Ci sentivamo come i pezzi di un puzzle: sebbene tutte diverse e con conoscenze differenti, ci siamo integrate per offrire un contributo di solidarietà umana» testimonia Anna, studentessa di Medicina. Qui l’apprendimento si fa sul campo, lontano da casa e dalle sue comodità, in un’esperienza che non può lasciare indifferenti.
Il primo progetto ha avuto inizio nella Valle de Cañete, una zona rurale del Perù caratterizzata da gravi carenze infrastrutturali, dove gli studenti e le studentesse di Medicina, Infermieristica e Nutrizione hanno lavorato al fianco della comunità locale. Con il tempo, l’iniziativa si è estesa ad altri Paesi: in Tanzania, il progetto si è sviluppato con l’Onlus Golfini Rossi e il monastero benedettino di Mwimwa; in Kenya, con World Friends, un’associazione che gestisce un ospedale nelle baraccopoli di Nairobi. Ogni esperienza di Work Camp rappresenta un’opportunità unica di formazione, dove si impara a confrontarsi con culture diverse e con sfide sociali complesse. Naturalmente, affinché ci sia una consapevolezza piena di ciò che si fa, sono fondamentali i momenti di briefing e debriefing con tutor e docenti, che aiutano chi lavora sul campo a riflettere sull’esperienza vissuta e a comprendere l’impatto del loro operato. Al rientro in Italia, poi, il valore di queste esperienze continua attraverso la condivisione con i colleghi, la ricerca basata sui dati raccolti e, soprattutto, la crescita personale che ogni partecipante porta con sé.
Tirocini Nutri-Care a CasAmica
CasAmica accoglie i pazienti che devono spostarsi e trasferirsi lontano da casa per ricevere cure mediche. È nata da un’idea di Lucia Vedani, che ne ha parlato in una videointervista qui. A CasAmica, gli studenti e le studentesse di Nutrizione si mettono a disposizione per creare dei momenti condivisi di educazione alimentare: «Spiegare in modo semplice concetti di educazione alimentare e vedere nei loro occhi curiosità e gratitudine è stato impagabile», nelle parole di Yasmine Bellamine. Oltre a mettere in pratica la teoria, infatti, è fondamentale per tutte le discipline, soprattutto quelle che hanno a che fare con la comunicazione delle buone pratiche, insegnare l’empatia. Sul campo è l’unico modo, però, per apprenderla sul serio.
Campagne di vaccinazione e sensibilizzazione
In uno dei periodi più tragici della nostra storia recente, la pandemia, gli studenti e le studentesse di Infermieristica sono stati in prima linea nella campagna di vaccinazione contro il Covid, collaborando con Asl Rm2 e il Policlinico universitario. E non è tutto, perché ogni anno, in occasione della Giornata internazionale dell’infermiere, si scende in piazza per sensibilizzare la popolazione sui temi della prevenzione. Come fa Anna, che con il suo entusiasmo non manca di certificare quanto l’esperienza sia formativa e appagante: «Abbiamo molto da imparare da quelle persone che sanno donare con il cuore».
Formazione degli assistenti familiari
Sia in Infermieristica, sia in Nutrizione, studenti e studentesse affiancano i formatori della Fondazione Alberto Sordi nei corsi per diventare e aggiornare gli assistenti familiari. Un modo per entrare in contatto con una realtà professionale concreta di cui c’è estremo bisogno e per allenare la capacità di trasmettere conoscenze in modo chiaro ed efficace.
Il Grand Challenge Student Program
E visto che per spalancare le porte del futuro bisogna pensare in grande e fuori dagli schemi, il Grand Challenge Student Program spinge proprio a questo: gli studenti si confrontano con alcune delle sfide più urgenti del nostro tempo, dalla sostenibilità all’innovazione tecnologica, per trovare soluzioni, imparare a lavorare in squadra, a cooperare per arrivare a un obiettivo comune. Lo dice Matteo Telesca che «Abbiamo creato un dialogo aperto, dove non solo abbiamo condiviso informazioni, ma abbiamo anche imparato molto dalle esperienze degli altri». E non è forse questa la chiave di una formazione autentica?
Laura De Gara è Professore Ordinario di Fisiologia Vegetale presso l'Università Campus Bio-Medico di Roma, dove ricopre anche il ruolo di Prorettore vicario con delega alla Didattica. È Presidente del Corso di Laurea Magistrale in Scienze dell'Alimentazione e della Nutrizione Umana e ha ricoperto dal 2019 al 2022 la carica di Preside della Facoltà Dipartimentale di Scienze e Tecnologie per l’Uomo e l’Ambiente, ora rinominata Facoltà di Scienze e Tecnologie per lo Sviluppo Sostenibile e One Health.
Nel corso degli anni è stata Presidente della Società Italiana di Biologia Vegetale. È secretary General della Federation of European Societies of Plant Biology. Le sue linee di ricerca spaziano dagli antiossidanti agli alimenti funzionali, con particolare attenzione alla regolazione del redox cellulare e alle risposte delle piante allo stress ossidativo e al cambiamento climatico.
Ha ricoperto ruoli importanti in numerosi comitati, tra cui quello del Ministero dell’Istruzione per l’educazione alimentare, ed è stata membro di comitati editoriali di riviste scientifiche di rilevanza internazionale. La sua ricerca continua a influenzare profondamente il campo della biologia vegetale, con applicazioni concrete in agricoltura e nutrizione umana.
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